Mi capita di svegliarmi e di non sapere dove sono.
La casa è bianca e nuova, quasi senza mobili. Le persiane verdi completamente chiuse, gli infissi immacolati.
Deve essere giorno perchè i raggi di luce filtrano comunque.
Sento fuori un mormorio incessante e ricordo.
Se guardo il polso non vedo ore. Non porto l'orologio da tantissimi anni.
Mi guardo su un divano completamente vestita e ranicchiata in cose diverse tipo giacche, sciarpe, buste, giornali, indumenti non miei, copri divano, borse.
Ho le gambe di pietra e riesco a muovermi con una fatica enorme.
Apro la bocca per sibilare un oh. Ma mi esce una specie di niente mischiato a fischio.
Nel resto della casa silenzio.
Ieri è stato il primo giorno di freddo.
Sono scesa giù in centro insieme ai miei per andare a fare una visita di cortesia poi ho cominciato a sentirmi male .
Cioè, la tachicardia.
Ho cominciato a sentirmi male quando siamo arrivati a casa di Alberto e Bruna neo genitori della bionda Ginevra nel bianco bancario palazzo di via dei Barnabei.
Casa bellissima, tutta bianca con degli schiaffoni neri dell'ikea, le lampade artemide, cose provvisorie e lussuose, pile e pile di riviste dai suggestivi nomi "The Lodge", "Luxury Estate" e "The Build and The Finance".
Coralmente lamentano di non riuscire a trovare una cameriera a tempo pieno e una tata adatta. Tali presupposti giustificano che per farci un campari sia necessario telefonare al bar dell’angolo affinchè un ragazzo rachitico dopo 10 minuti venga a portarci questi palliativi. Io comincio ad avere delle autentiche paturnie che faccio fatica a stare seduta.
Se potessi stare nella testa di Alberto anche solo per un minuto, capirei gli ingranaggi di questa milanesità per noi così esotica. Mi stupisce sempre ogni volta che lo vedo con le sue camicie di sartoria e i suoi orologi svizzeri, per il fatto che non esista persona al mondo che meglio riesca ad immaginare piangere, perdere, farsi il bidet.
Io e lui, poi dopo che finiscono i drink portatici a domicilio, decidiamo di farcene uno handmade (come piace dire a lui, tesoro ti preparo un negroni handmade!). Chiedo il permesso a mio padre che risponde senza parlare ma alzando il suo adorabile sopracciglio sinistro, solo metà per la ragazza!
Alberto lo carica a sfacimento come piace a lui e quello che doveva essere un mezzo negroni, diventa un intero violento zippato negroni post pomeridiano.
Io capisco che sto male. La cosa che più acuisce questo disagio è il non poter parlare liberamente. Considerata la formalità del tutto, intendo. Vorrei invece fare delle domande precise ai presenti (cosa vi preoccupa a parte questa nuova privilegiata bionda vita che avete donato all’universo/mondo? Cosa fa di voi gente dalla fronte talmente aggrottata? Siete anche voi angosciati come me da questo anno 2007 in cui novembre ci ha portato grandine e rogna?).
Bruna è una ragazza che somiglia ad un pozzo apparentemente secco ma oscuro, profondo, misterioso circa la fine. Ha capelli che sono alghe nere, ha un'andalusa faccia del mercoledì delle ceneri e muove stizzosamente nell’aria le sue saracene dita appesantite da carati e carati di impegno coniugale. Guardo la curva pericolosa del suo piede svettante su tacchi a spillo e mi domando se ha mai posseduto un paio di converse all stars, Bruna.
Ieri ho capito che da sola non ce la posso fare. Cioè me lo ha comunicato il mio Cordiale Amico per la Vita.
Nonostante gli sforzi per condurre una vita normale, tengo una cosa insidiosa dentro che gradualmente diventa più grossa, dura e filamentosa (sembra il didentro delle ossa). Mi snatura e mi fa fatica.
Cordiale Amico per la Vita, mi dice non ti riconosco più, sei regredita, ha paura di tutto, non ti diverti, non senti niente, dimmi cosa senti, dimmi cosa vedi: se ti tocco qui, se ti infilo uno spillo qui, se ti verso una tazza di minestra bollente sul vestito. Io non sento niente. E lo vedo muoversi e parlare come da un'altra nazione, come in una videoconferenza.
Non sento le mani, il petto, le ginocchia, l'odore, l'umido, il tempo, il presente. Ho la sindrome di Micol Finzi Contini.
Il sabato sera facciamo delle cene normali. Comprano chili e chili di carne da un pastore qui vicino a Sanvensan. La scelgono e se la fanno cucinare sui carboni (io e Cordiale Amico per la Vita intanto saliamo verso Sanvensan in auto parlando di aldo moro, delle strategie involontarie applicate da una giovane promessa e di quello che sarebbe accaduto oggi).
Ceniamo tutti insieme parlandoci addosso intorno al tavolo, beviamo tutto e gli avanzi di tutto, Uno si trasferisce sul divano a smaltire la sbronza, si toglie le scarpe e i maglioni ed sta diverse ore con una mano nelle mutande a non esistere.
Noi altri senza muoverci dalla postazione fumiamo diverse decine di trombe, poi arrivano altri due chissà da dove e la padrona di casa è costretta ad alzarsi per aprire la porta. Hanno portato i cornetti, altro fumo e delle droghe che io non consumo.
Poi ad un tratto è mattina e Sanvensan è lontana perché non è più collina ma fuori si sente mormorare il mare oltre la selva di ulivi. Il mare fa paura e non l'avevo mai sentito così roco, così lamentoso, sofferente selvaggio in una conversazione perpetua incessante, gelida, nera. Come quando per la prima volta vedi una persona familiare sbroccare, cadere, perdere, incattivirsi.
Cordiale Amico per la Vita dice questa volta da sola non ci riesci secondo me. Ti devi fare aiutare.
Io non so da chi. Non so cosa dire. Dentro di me ho una confusione pechinese. Non mi si muove un muscolo della faccia.
La confusione mi riga la faccia svariate sere mentre cerco di addormentarmi. Attendendo la resa dolciastra della medicina come una barca che mi porti da sponda a sponda.
Cordiale Amico per la Vita non ha dormito con me, ha dormito in un'altra stanza ma mi ha messo vicino al divano dei giornali se caso mai avessi avuto freddo (proprio come quando andiamo al cinema all'arena e si alza il maestrale).
Mi ha dato una notizia brutta e una bella. Come spesso fa.
Sento che anche lui, nell’altra stanza prova a soffiare delle parole e a muovere le gambe.
Gli sorrido approfittando della sua assenza e gli sono riconoscente per tutti i suoi comportamenti omissivi.
Per lo specchio che è di me. Quando continua a dirmi, da sola non ce la puoi fare senza tuttavia mai alzare la mano per presentare proposte assurde.
Valentina