martedì 30 novembre 2010

La pentima

Chissà quale sarà mai l’etimologia di questa parola, che si annuncia con uno scoppio –pe-, prosegue con un gancio appena percettibile –nt-, e si conclude in una nota dolce –ima-.
Qualunque sia la sua storia, pentima vuol dire scoglio, e dà nome a una parte di Monopoli per me finora sconosciuta.

Ci sono andata nel primo pomeriggio, saranno state le 14:00. Ho avuto la sensazione di trovarmi in una piazza, deserta, in cui un tempo forse si incontravano i signori colti per discutere, o al contrario i pescatori per vendere la loro merce. D’estate penso che la pietra bianca diventi abbacinante per il sole che attraversa la pentima. Oggi invece il cielo è quasi plumbeo, il vento muove minacciosamente le nuvole, specie una carica di pioggia che, per fortuna, tiene tutta per sé. E sul tracciato lungo e stretto, la pietra bianca, le ringhiere, gli scalini circolari attorno a piccoli e grandi piazzali, sono coperti come da un’ombra luminosa che mi fa pensare a una cartolina.

Dal centro della pentima, facendo attenzione a non calpestare la terra fresca, ancora nuda, priva di verde o d’altro colore che non sia, appunto, il color terra, basta guardare a destra, avanti e a sinistra per vedere tre diversi scenari.

A destra. Nel punto più vicino all’osservatore, i palazzi sono disposti su diversi gradini, quasi a voler affermare ora la loro altezza, ora la loro prominenza alla pentima, e di quella hanno il colore, il bianco. Ma basta guardare un po’ più in là per accorgersi di costruzioni irregolari nelle forme –squadrate, spigolose-, come nei colori contrastanti: giallo, blu, rosso che, arrivando alla punta estrema, soffocano quasi il candore delle prime abitazioni. Sarebbe bello sapere che colpo d’occhio daranno gli edifici che, prima o poi, verranno innalzati da quelle due gru e da quelle ruspe che occupano dello spazio per il momento libero. Il primo spazio che incontra il paesaggio che si staglia davanti.

Avanti. Blu, profondo, irrequieto, solcato da mille piccole increspature nervose, intense, si stende il mare. Ineffabile per la miriade di suggestioni che fa affiorare, inenarrabile per le infinite storie e leggende di cui si rende ogni volta protagonista mai uguale a se stesso. Una scaletta arrugginita sembra il prolungamento dello scoglio a cui è legata, come avvinta in un innesto così innaturale da sembrare l’unica destinazione che quella scala avesse potuto avere. Un appoggio solido, perché la discesa verso il mare sia dolce e sicura. Seguendo l’andamento della scogliera, a tratti popolata da uccelli bianchi che qualcuno, imprudentemente, chiama piccioni, ancora un’altra Monopoli si offre agli occhi a sinistra.

A sinistra. E’ la città vecchia, il cuore pulsante che ha dato linfa alla crescita del tutto intorno. Il bicolore della pietra segna nettamente l’età più antica e quella più vicina. La prima è color sabbia, è quella più prossima al mare. Di questo colore sono le mura del castello, per secoli protezione della città dal nemico proveniente dal mare. Il secondo colore è ancora una volta il bianco, quello delle case moderne, delle facciate dietro cui si celano altri tesori. E in delicato gioco cromatico, spunta una torre, o meglio, un campanile che sovrasta questa parte della città e si rivolge all’orizzonte, al mare.

Al centro sempre la pentima: forte come la tradizione, rispettosa come l’austerità dei tempi passati, dolce come la serenità che si respira sostando sui suoi gradini. 

lunedì 29 novembre 2010

HAI PRESENTE QUEL FILM? (Descrizione fatta ad un amico immaginario)

Allora, sto film è troppo bello.
C’è lui che è grande… grande, un cinquantenne. E lei è giovane. E si trovano in Giappone, per fatti loro. Quello sta facendo uno spot per un whisky e lei sta col suo tipo che è sempre impegnato.
E si incontrano.
Guarda, il film è lento, è proprio lento… ma merita! La fine è troppo bella!
Perché sti due non c’entrano un cazzo, però si innamorano. E te ne accorgi, anche se di concreto non succede nulla.
Alla fine lui se ne deve andare, no,e si salutano… ma non succede nulla. E tu ci resti male. Poi, invece, c’è una scena bellissima! Allora: lei è in giro a Tokyo, tra la folla, e lui ormai è in taxi. Ma la vede!! Tra la gente! E allora scende dal taxi e la raggiunge e si danno un bacio! Un bacio! Così! Senza parlare! Stupendo.
E là piangi di brutto, perché c’avevi rinunciato, ed invece il bacio è arrivato.

di Giusy Muolo

HAI PRESENTE QUEL FILM? (Descrizione fatta ad un amico immaginario)

Credo tu lo abbia visto, ma te lo descrivo comunque. Ci sono questi quattro amici trentenni. Il film parla di loro, ma credo parli in generale di quell’età, di quella fase. Cambiamenti, problemi, scoperte, poche risposte per troppe domande. Mi sa che all’inizio si ritrovano tutti ad una festa. Scusa, ma è passato un po’ di tempo e non ricordo proprio cosa cavolo si festeggiasse. Ma non è importante. Te li descrivo. Dai, non puoi non averlo visto! Ci sono tante scene corali, con chiacchierate, riflessioni, ricordi nostalgici e progetti vaghi ma sognati. Però preferisco raccontarteli uno ad uno. Allora… C’è il protagonista. Sposato, una bella moglie in attesa di un figlio, il loro primo figlio. Sembra davvero innamorato, ma ci sono le solite tensioni, un po’ di nervosismo, paure, anche una specie di senso di vuoto o di soffocamento, annegamento nell’abitudine. E che gli succede? A questa famosa festa (ma cosa cavolo si festeggiava?) incontra una bella biondina, una diciassettenne che si mostra subito interessata. E lui? Beh, sarà stato il momento, l’ormone impazzito, la novità, il senso di proibito (lui trentenne sposato, lei diciassettenne…e che vuoi di più? Dai, ammettilo!), lui inizia a sentirsi tutto ingrifato! E ci credo, mi sarei sentito così pure io! Avresti dovuto vederla nuda o, meglio ancora,  in quella scena con un vestitino senza reggiseno sotto. Non sto a spiegarti da cosa si capisse. Ok, torniamo a noi! Insomma, questo tipo tanto fa che poi finisce per incontrare la biondina.  Ci finisce a letto dopo una brutta litigata con sua moglie che aveva capito tutto. Ottimo alibi! Si pente al risveglio. Via di corsa e la poveretta, in lacrime, per strada, che insegue la sua auto. Naturalmente la moglie lo aspetta decisamente “indispettita” per tutta la faccenda. Solita roba. Coltello in mano! Vaffanculo! Bastardo! Io ad aspettarti incinta! Maledetto! Ti ammazzo! Via di casa! Ma no! Non hai capito niente! Non è come pensi! Non capisci come mi sento! Se mi mandi via, non torno più! Pum! (Porta che sbatte e via). Qualche lacrima non guasta mai. Naturalmente faranno la pace, ma il finale è molto ambiguo. Lui in casa con la bambina, lei che corre al parco con “compagno di jogging”. Mi sa vendetta è compiuta, tutto il sogno è crollato. E gli altri tre amici? Dai, te la faccio breve. C’è quello sposato e con un figlio. La moglie gli rimprovera sempre di essere un fallito, un immaturo, di essere poco presente. E lui sente qualcosa che gli cresce dentro, una voglia di cambiare e fuggire. E che scenata quando torna a casa con l’orecchino! Alla fine decide davvero di mandare tutto al diavolo e andarsene. Un terzo amico è forse quello più sofferente (e insofferente) di tutti. Irrequieto, insoddisfatto. E con un rapporto difficile con suo padre gravemente malato. Che tristezza quando corre al capezzale, per un’ultima parola di affetto, di amore, comprensione, pace. Naturalmente non arriva in tempo. E non farà che rimproverarselo. L’ultimo è uno che vive alla giornata. Nessun progetto a lungo temine, ogni attimo colto e vissuto senza rimpianto. Un tipo alternativo. E sempre con donne diverse nel proprio letto…beato lui, maledetto bastardo! Una di queste è addirittura Carmen Consoli (bastardo!). Non è un caso, perché una sua canzone fa da colonna sonora…e dà il titolo al film!

QUELLA SCARPA IN QUELL’AUTOBUS CON QUEL VENTO

Mi aveva colpito quella scarpa. Non entrambe le scarpe che indossava quella  tipa sull’autobus, ma soltanto una. E non ricordo neanche se fosse la destra o la sinistra. La sinistra, forse. Una scarpa “sinistra”. Sarà stata la posizione del piede, quel modo elegante e seducente di poggiarlo sulla punta, forse un riflesso particolare o una macchia leggera. Stavo risalendo con lo sguardo. Caviglia, polpaccio, ginocchio, fianco e…una folata di vento mi fece volar via i fogli che avevo poggiato sulle gambe. Ma possibile che il vento soffiasse in un autobus? C’era un finestrino aperto? E chi se lo ricorda! E possibile che io, sempre fissato con occhi sguardi forme del viso e capelli,  cominciassi a guardare una persona dal suo piede? Avrei capito che quel giorno, con quella persona, su quell’autobus, doveva essere possibile. Doveva essere e basta. Soprattutto quel vento. E quel maledetto piede.


di Francesco Girolamo

venerdì 26 novembre 2010

Tre parole per un accenno di storia

Me ne stavo lì, sola soletta, con il vento gelido che mi seccava gli occhi e che, tempo qualche ora, mi avrebbe costretta a tossire.
Persa nei miei pensieri, solo visioni fulminee potevano scuotermi. Ecola! L'ultima ballerina, elegante, delicata ma austera, sollevava il passo, l'ultimo, per entrare in quell'autobus affollato, e con essa la ragazza stanca che la indossava.

Maria Grazia Piemontese

lunedì 22 novembre 2010

SCARPA, VENTO, AUTOBUS

Fra le 13,00 e le 13,10 rincorrevo sempre quell’autobus. Non era mai puntuale o forse non lo ero io. Quel giorno vidi chiudere la portiera davanti ai miei occhi e mentre mi chinavo per raccogliere la sciarpa strattonata dal vento, mi colpì la visione di quella splendida scarpa, grigia col tacco ricoperto di velluto. Pavoneggiava fra tante orribili calzature anonime. Ma l’autobus la portò via in qualche attimo. Maledizione, chi c’era in quella scarpa?

di Giangi Tagliente

Consigli assurdi e surreali

Guarda le sue scarpe prima di fare insieme il cammino.
Non mangiare mai a digiuno.
Tappa gli occhi, spalanca le orecchie. Gusta tutto il resto.
Senti il profumo del vento e il sapore dell’acqua. Capirai dove sei.
Abbraccia il mare e il mare ti abbraccia.
Aspettami per sempre ma non pensarmi mai.
Le sbarre del passaggio a livello si alzano più velocemente solo quando non hai nessuna fretta.
Nel mondo senza specchi ci vedremo solo negli occhi degli altri.
Non schiacciare il verme: potrebbe non essere un uomo.
Non lasciarti trascinare dal tempo che passa. Ma…stai già strisciando?
Prendi solo autobus affollati. Più intensa ed avvolgente è la solitudine.

Di Giangi Tagliente

domenica 21 novembre 2010

Scrittura è...

Mi accompagna quando ho voglia di una nuova chiave per interpretare la realtà ed entrare in essa.
Quando mi coglie il bisogno di rifugiarmi in un angolino nascosto di me, e non riesco a vederlo, a trovarlo se non leggendo.
Quando sento che è il momento di circondarmi di parole e mondi che mi capiscano e che mi facciano venir fuori.

Mi sorprende il piacere che provo quando mi rendo conto che la fine di un libro corrisponde all'inizio di un mio percorso interiore. L'eco delle parole lette risuona in me per qualche ora, o per settimane. In certi casi non mi abbandona più. E io guardo alla mia quotidianità con un sostegno, con una sfumatura che fino a quel momento mi mancava. Ed è più facile capire i gesti, dare una ragione alla rabbia altrui, come alla loro gioia.
Mi aiuta a vivere.

Maria Grazia Piemontese

Consigli assurdi e surreali -3-

  • Asseconda il vortice, ma non volteggiare.
  • Tira fuori l'anima senza far scoppiare niente di te.
  • Definisci i limiti, incastra la tela e squarciala.
  • Ruba lo scintillio dal tuo vicino cupo.
  • Scegli con cura i libri migliori, privilegia la carta più pregiata e bruciali per nutrirti del loro fuoco.
  • Ridi delle tragedie e piangi delle commedie.
  • Gioca a leggere i segni delle nuvole.
  • Incastra i pezzi di un puzzle sbagliato.
  • Respira l'aria del bucato sporco.
  • Chiuditi nel silenzio e urla la tua serenità.
Maria Grazia Piemontese

sabato 20 novembre 2010

Consigli assurdi e surreali

Prendi la testa di tua sorella e leggi la sua lingua,
in un fiore divertiti a rompere i petali e incollali al posto delle spine e le spine al posto dei petali,
leggi l’acqua quando scorre,
le parole si materializzano da sole illuminate da sole,
ogni libro ha piedi, testa, braccia che ti viene incontro,
lavati con le parole che escono dal lavabo,
leggi la carta igienica al posto di un buon libro,
schiera i libri in campo e falli vincere la partita,
annaffia la pianta con le parole
gira in torno alle parole come un girasole,
divertiti a colorare il cielo e a leggerlo,
prendi per mano la Venere di Botticelli e falle leggere il mondo.

di Giuseppe Pezzati

giovedì 18 novembre 2010

Consigli assurdi e surreali


Chiama un amico a cui hai fatto un grande torto e urlagli al telefono che non
lo perdonerai mai.

Vai al mare e cavalca le onde su uno slittino.

Costruisciti una camera attorno ed esci. Se ti sei ricordato di farci una
porta.

Spegni la luce e cospargiti di crema solare.

Scrivi una poesia fatta di numeri.

Cogli un fiore e mettilo in un panino.

Fai grandinare nel deserto, nevicare all’equatore.

Metti una sella ad un cavallo e caricatelo in spalla.

Annusa la luna e senti che ti dice.

Accarezzami ma non toccarmi.


di Francesco Girolamo 




Guarda il pieno nel vuoto

Suscita scalpore con le tue mutande


Rotola la tua testa per le scale, quando sarà aperta infilaci il cervello


Annusa il cane che dorme, tanto non abbaia ma morde


Soffia il naso con pudore


Infila il calzino destro alla mano sinistra e fai in modo di sentirti saggio


Esprimi il tuo voto in merito


Assumi l'assunto


Bisbiglia parole da urlo


Copriti dentro che fuori è caldo



di Silvia Perricci (I° Laboratorio di scrittura)




Entra prima di uscire


Metti il cane fuori, fa caldo


Mangia quando hai fame, copriti quando hai freddo, respira quando vivi


Ascolta le opinioni di tutti e poi dimenticale


Non mangiare le unghie altrui


Vivi la tua vita, non quella di un morto di fame


Sporadicamente esci dal tuo corpo


di Giusy Muolo (I° Laboratorio di scrittura)





Acrostico creativo

Stimolo
Creativo,
Riflessivo,
Impegnativo.
Tutto
Tranne
Utopia
Ridondante.
Assecondala!

Maria Grazia

lunedì 15 novembre 2010

Benvenuti

Impegno e avventura

"Crediamo nell’impegno culturale vissuto come un’avventura coinvolgente di solidarietà, divertimento e trasmissione di esperienze.
Crediamo nell’espressione creativa – che ciascuno ha la fortuna di ospitare in sé – intesa come mistero, sorpresa, capacità di nuove visioni sulla realtà. Cerchiamo di vivere questa passione per la creatività in una sfida di collaborazione, comunicazione e confronto, contrapposta ad ogni atteggiamento narcisistico e individualistico.
Crediamo nella comunicazione, nella quale si cresce con entusiasmo e pazienza, come strumento per condividere le esperienze e le rappresentazioni del nostro essere umani, del mondo che ci circonda e del nostro modo di percepirlo."

Esercizio e talento

Siamo convinti che arte significa anche esercizio e sperimentazione. Artisti si nasce e si diventa in una dialettica mai esauribile tra arte e vita, tra tecnica e esperienza, tra talento e sensibilità. Così promuoviamo officine e laboratori in cui si lavora e ci si scambiano idee ed esperienze. Il contributo costruttivo reciproco al lavoro personale (impressioni, consigli…) rende in qualche modo l’opera in oggetto anche patrimonio collettivo.

da uno stralcio del Manifesto di Bombacarta