“Figliola mia, hai buone ragioni per piangere. Grande è il guaio che ti è capitato!
Io non ci sarò più a coccolarti e difenderti da quello sciagurato, traditore ed infame di tuo padre. Vigliacco e meschino! Non aspettava che la mia morte per riprendere moglie e figliastre e buttarle al pascolo in casa nostra. Perverso e turpe, ora consenti alle tre infide sgualdrine di maltrattare la nostra unica e povera figlioletta. Come ti hanno chiamata povera piccina mia? Ti avevo dato un nome bello e nobile e queste vipere ti hanno appiccicato quell’orgia di sillabe che parte con la cenere e finisce con un rantolo. Ma che stiamo in un’altra favola? Troverò un modo per salvarti. Ritorna domani”.
Pensieri simili agitavano questa povera anima. La mamma di Cenerentola, sempre devota e pia, non era morta in pace e stava ancora peggio nel vedere la sua unica figlia in quelle condizioni. Ma sull’orlo dell’eterna disperazione trovò la forza di rivolgersi all’unica cosa che poteva salvare sé stessa e la sua figliola.
Il giorno dopo infatti la sudicia orfanella ritornò alla tomba per piangere la sua mamma.
“Piccina, ho fatto un patto con il diavolo: gli ho ceduto la mia anima in cambio di un potere magico. Pianta un rametto di noccilo qui e fallo crescere forte e robusto con le tue lacrime. Chiedi all’uccelletto bianco che si poserà per primo sui suoi rami ori ed argenti e tutto quello che vorrai. Quando il principe darà la festa di tre giorni per scegliere moglie…Insomma sai già come andrà a finire. E vissero tutti…
Giangi
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