So benissimo che fino alla prossima lezione non avrò voglia di andarci…oppure
me ne dimenticherò, come effettivamente è successo l’altra settimana.
Ammissione di colpa. Chissà cos’è peggio tra la pigrizia e la distrazione.
Tornando all’argomento, ho trovato un buon compromesso. Quel posto verrà
descritto, ma facendo due passi nella memoria vicina e lontana. Ci sono stato
un bel po’ di volte, qualcosa pescherò…lì c’è pure il mare!
Sono circa le sei e mezza, sette di sera. Una giornata di metà maggio. Il buio
della notte è ancora lontano. L’aria è piacevolmente fresca, in cielo solo
qualche nuvola. Poco traffico, stranamente. Qualche barca in mare, in
lontananza, davanti a me. Questa scelta del momento ha un motivo. Lo so
soltanto io. Anzi, forse anche qualcun altro.
Mi muovo. Mi sto lasciando alle spalle il Bar Kambusa. Luogo d’incontro
conosciutissimo, irrinunciabile. Un bar semplice, fatto solo per bere, parlare,
ascoltare, ogni giorno dell’anno. Birra, cocktail, cicchetti, sigarette,
musica, bagni affollati, vomito nelle strade vicine, rare risse, casino, gente
qualsiasi, fighetti, alternativi, pseudointellettuali, ultras in branco (mai
visto uno da solo!), femmes fatales, trans, ragazzine vestite in modi che a
volte ti fanno pensare in dialetto “se quella era figlia a me!”. Ma è un
pensiero che dura poco, non ho figlie io, spesso tendo a godermi lo
spettacolo.
Mi muovo. Alla mia sinistra un parcheggio pieno d’auto in ordine sparso e poi
uno degli ingressi al Centro Storico, le mura sul mare. Davanti a me lo
strapiombo (fortunatamente protetto da una lunga ringhiera) sotto al quale c’è
la spiaggia Porta Vecchia (dal nome dell’ingresso di prima), ormai quasi
scomparsa, una sottile lingua di sabbia quasi completamente erosa dal mare, che
quando è molto agitato la copre completamente. Alla mia destra tabelloni
pubblicitari, una fontana e l’ingresso di una scuola.
Ora mi sto dirigendo verso la Pentima vera e propria, verso destra. La strada
scende un po’, fino a un livello comunque molto più alto della spiaggia, poi
risale dolcemente. Per tutta la passeggiata avrò alla mia destra edifici
scolastici, alla mia sinistra una lunghissima balconata sul mare.
Il mare. Per chi cresce in una città col mare, è una presenza essenziale.
Almeno succede a me. Spesso mi piace guardarlo dalla finestra, da qualche
centinaio di metri. E se torno da un viaggio è una delle prime cose che guardo,
il mare di queste parti che mi fa subito sentire a casa. Forse succede a tutti
con i posti che si ama e dove si vive, che sia mare montagna città deserto,
chissà. Ma il mare… Quando ti avvicini e lo guardi bene, sembra una persona
infinita ma non ingombrante. Ti ci puoi confrontare, spesso il suo stato d’
animo è opposto al tuo, altre volte sembra assecondarti. Può essere calmo e
placido, leggermente mosso e allegro, un po’ increspato e gagliardo,
decisamente agitato o incazzato nero con la schiuma che ti arriva qui. Qui
sulla pentima. Stavo divagando, eccomi tornato qui sul lungomare. Ma stasera
niente schiuma, tutto è calmo, forse io meno.
La Pentima è tutta fatta in quella chianca chiara molto diffusa da queste
parti. Un lungo viale di pietra che fiancheggia il mare. Qua e là qualche
aiuola spelacchiata, delle panchine in legno da cui mancano delle assi,
rendendo difficile poggiare la schiena o addirittura sedersi. Una balaustra
metallica corre lungo tutto il lato esterno, con delle interruzioni da cui è
possibile scendere verso il mare attraverso delle scale. Si tratta di un
versante pieno di scogli e rocce che spuntano qua e là, di forme e dimensioni
differenti, che fanno da cornice a tutta la pentima; essa stessa non è che una
lunghissima roccia ricoperta e trasformata in un lungomare.
All’inizio della mia passeggiata, alla mia sinistra, distaccato di una
quindicina di metri dalla terraferma, c’è il famoso isolotto, uno scoglio che
avevano ricoperto con una piattaforma in legno e collegato alla Pentima con un
ponte anch’esso in legno. Credo di esserci anche salito tanti anni fa.
Purtroppo non ha resistito alle prime mareggiate più violente. Di fronte a
questa ottava meraviglia, dal lato della scuola, ci sono a far da pubblico un
furgoncino da “paninaro” e una postazione dei bagni pubblici…
Continuo a camminare. C’è qualche coppietta qua e là, in piedi o seduta,
qualcuno di ogni età che passeggia o va in bici, poche famiglie, di tanto in
tanto ragazzini sfrecciano in scooter o abbozzano semiacrobazie in skateboard.
Se cadono mi faccio due risate. Che bastardo!
Questo tratto iniziale è abbastanza spazioso e improvvisamente mi ricordo un
palco montato anni fa, gruppi giovanili che si esibiscono. Si, la Festa dell’
Unità! La si organizzava qui ogni estate, prima di spostarla nello scenario
bellissimo del Lungomare del Castello, prima di smettere completamente di
farla! Tre, quattro giorni di dibattiti, musica, gastronomia, volontariato.
Cambiare il mondo sembrava un po’ più facile.
Sto divagando, continuo a camminare. Sono alla svolta del piccolo anfiteatro.
Va detto che la Pentima, seguendo il disegno della costa, ha la forma di un
arco molto irregolare, forse una specie di boomerang storto. Nell’angolo di
congiunzione di questo boomerang, che sporge verso il mare, è stato costruito
una specie di piccolo anfiteatro, qualche metro di diametro, giusto tre o
quattro gradini. Mi ricordo qualche serata tra amici, qui seduti a parlare e
ridere.
In questo punto il viale piega leggermente a destra e prosegue abbastanza
dritto verso la fine. Faccio caso solo ora ai lampioni neri in ferro, sono
accesi, la sera sta prendendo forma. Non è male l’impressione che danno con la
loro illuminazione. Certo sarebbe molto meglio de fossero ancora integri. In
cima hanno soltanto le lampadine, un tempo ricoperte di sfere bianche. Le hanno
rotte tutte. Si, proprio così, tempo fa qualche banda di teppistelli ha rotto
le palle…
In questo viale, sulla destra, ci sono tre o quattro delle famose panche. Una
di queste la conosco bene. La panca dei primi appuntamenti con lei. C’erano due
ottiche diverse, se arrivavo prima io (caso raro), la vedevo spuntare dall’
angolo dell’anfiteatro e avvicinarsi sempre più. Altrimenti, di solito,
svoltavo a quell’angolo e la vedevo lì ad aspettare. Bella. Arrivavo lì. Ciao.
Un bacio. Seduti accanto. Una sera insieme.
Una volta, ad aspettarla, mi faceva compagnia una rosa, affianco a me. Una
piccolezza da farsi perdonare. Risultato ottenuto. Donne. Feline e furiose, poi
basta un niente. Lama calda nel burro, neve al sole, un foglio di carta gettato
nel fuoco.
Sto ancora divagando, stavolta troppo. E adesso fa quasi freddo, è quasi buio,
non c’è nessun altro qui intorno, a parte un cane randagio una ventina di metri
più avanti. Continuo a camminare.
Il viale prosegue dritto. C’è un segnale di divieto di balneazione. Da quanto
tempo?
Il viale è finito. A destra è finito l’edificio scolastico. A sinistra, in
basso c’è una spiaggetta, non bellissima, non pulitissima. In alto la strada.
Prima c’era una fila di pini a costeggiarla, era un punto fresco e ombreggiato.
Dicevano che quegli alberi proteggevano anche dal grecale. Ora hanno estirpato
tutto, le radici stavano rovinando marciapiede e strada. Non c’è gara, tra
albero e asfalto.
Al di là della strada c’è un altro bar, il Piazza di Spagna. Un tempo il
Kambusa era qui e mi piaceva di più. Strano, comunque la si percorra la Pentima
inizia e finisce con un punto di ritrovo. Anche qui non è male, rispetto all’
altro posto è un po’ più tranquillo, più classico, meno variegato, meno
notturno. Spesso ci si sposta da un bar all’altro nella stessa serata, ma non
si va dalla Pentima, si preferisce la strada. Più breve, più comoda, più
riparata dal vento, ci si mette la metà del tempo. Si cammina il meno
possibile. A me piace molto camminare con calma. Se si guadagna tempo, forse ci
si perde molto di più. Chi lo sa. Probabilmente non è poi così amato questo
lungomare. Forse anch’io non mi sono divertito così tanto, forse perché ero
solo o non ho altro che mi leghi ora a questo posto. Chi lo sa.
Credo che gli altri mi aspettino al Kambusa dopo questo giro solitario. Mi
hanno già squillato. Scelgo un tragitto. Vado dalla strada, ci metterò meno
tempo.
Chissà che ora è.
Francesco Girolamo
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