Arrivo su questo breve marciapiede litorale conosciuto, in maniera poco originale, come “pentima” dieci minuti prima delle 16,00.
Mentre guardo all’orizzonte cercando di pianificare descrizioni e altre visioni, sopraggiunge un mio amico e collega sulla sua straordinaria bicicletta antichizzata. Scambio di banali saluti e di sincera sorpresa per l’incontro. Chiariti i motivi della sincrona escursione si raccomanda con me di salutargli Dada, comune amica e docente.
Rilancio lo sguardo in navigazione. All’orizzonte un cielo grigio tendente al celeste quasi si confonde con il mare celeste tendente al grigio. Riesco, nonostante la miopia e la leggera foschia, a distinguere le piccole sagome di sedici barche e di una canoa con due vogatori a bordo.
Abbasso ancora gli occhi per ancorarli alla terra ferma. Nel punto in cui mi trovo, la scogliera mi appare perpendicolare e il suo perimetro disegna una sorta di enorme arcata dentale di squalo.
Su uno di questi denti giace un pescatore ben coperto e ben nutrito alle prese con due canne da pesca che, ad intervalli quasi regolari, riposiziona su una sorta di treppiede metallico. Nelle pause di lavoro osserva i galleggianti delle lenze e fuma.
Sul dente a me più vicino un manto di erbacce accoglie qualche cartaccia e pochi altri rifiuti estivi. Troppo pochi, qualche onda grossa avrà già fatto da spazzino. Volgendo lo sguardo alla mia destra completo la panoramica di 180° iniziata all’orizzonte. Finalmente sono di fronte all’origine dell’appellativo. Conto, infatti, nove enormi “pentime” disposte l’una di fianco all’altra a formare una robusta barriera a difesa (e quasi a riconoscenza) di due piccole spiagge da cui cento, mille, un milione di anni fa furono forse partorite. Le due piccole aree costiere sono delimitate a nord e a sud da scogliere e ad ovest dal muro artificiale che culmina sotto il livello stradale.
La visione d’insieme ricorda, in maniera molto meno suggestiva, quella di un teatro romano diviso in due settori. Infatti, una “pentima” (pigra o semplicemente ritardataria) segna il confine fra le due spiagge, mentre una piccola palma sbuca, coraggiosamente, dalla sua base.
Sulla battigia della prima si mescolano, incestuosamente, ciottoli di pietra bianco sporco e tavolette di polistirolo bianco latte. Comprendo l’utilità del cartello che sancisce il divieto di balneazione a partire dall’11/08/1995. Intuisco che fino a quella data era stato utile anche il piccolo percorso a scivolo che congiunge il livello stradale alla battigia.
La seconda riva, invece, offre una varietà di terreni ben più composita: alghe, vicino al mare, e poi sabbia grossa (o, forse, breccia per edilizia), terra e ancora ciottoli.
Il limite meridionale è costituito da un muro naturale di scoglio che ospita una grotta con pareti forse così rettilinee da sembrare artificiali. La parete marina si ricongiunge ad un’altra scogliera più omogenea e compatta tramite una lingua rocciosa così irregolare da sembrare naturale.
Mi sposto sull’estremità orientale del lungomare. Una notevole intuizione mi fa pensare che sono già più vicino all’Albania.
Il limite estremo della terraferma è costituito da una piccola penisola assai frastagliata sia in altezza che in estensione e questa struttura genera piccole conche alcune colme come piccole pozzanghere, altre asciutte come piccoli crateri.
Mi distrae il passaggio di un’anziana signora in tuta ginnica con un cagnolino al guinzaglio. Scorgo nei due volti una somiglianza inquietante. Passano un paio di podisti con gli occhi e le mascelle stravolte dalla stanchezza.
Il pescatore, che adesso è alle mie spalle, lancia la lenza per l’ennesima volta. Me lo rivela il rumore di frustata che produce la canna. Ragazzi incoscienti ma coraggiosi mi sfilano di lato e davanti a bordo dei loro skateboard, sfidando le irregolarità del marciapiede, la forza di gravità e la mia pazienza.
Tutta questa umanità, però, rischia di offuscare la mia “fotografia”. Mi allontano allora, dirigendomi verso nord (sono sicuramente più vicino Venezia…).
Scorgo all’orizzonte un’enorme sagoma bianca, forse una nave da crociera, ma mi piace immaginare che sia la punta di un iceberg.
Sulla punta del molo, il faro del porto emette il suo solito raggio verde, mentre i sei lampioni che riesco a vedere illuminano di luce gialla la banchina ed il mare antistante. Le vecchie mura della città vecchia si sovrappongono alla restante parte del lungo braccio di cemento e impediscono di scorgere il porto.
Un pescatore bambino lancia la sua lenza mentre una canoa con cinque vogatori fa rientro a riva. Un’altra canoa, con due atleti, la segue a stento. Più a largo, una barchetta a vela discreta ed elegante sembra muoversi col passo di una petroliera. La scogliera, da questo lato, mi sembra più sporca: lattine, fazzolettini, mozziconi e mozziconi. Il mare, su questo versante, non è così efficiente come spazzino.
Due ultime annotazioni: i lati più riparati e, in generale, le punte degli scogli mantengono una colorazione sempre più chiara rispetto alle superfici più esposte ai flutti. In questa città molti vanno in canoa, alcuni sugli skateboard e pochi vanno a pesca.
La sua vocazione marinara è ancora solida.
di Giangi
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